I problemi sul caso Assange non finiscono con
un verdetto a favore della Procura. Un recente articolo scritto da Stefania
Maurizi fornisce un buon sunto riguardo a questo: in esso vi è un’intervista a
Michael Ratner, avvocato per i diritti costituzionali e le libertà civili negli USA. Ratner afferma
che sarebbe stato decisamente sconsigliabile per il fondatore di WikiLeaks
uscire dall’ambasciata anche se i suoi avvocati avessero vinto l’udienza e il
mandato d’arresto fosse stato deposto.
La
colpa è nuovamente del governo degli Stati Uniti, che da quattro anni portano
avanti grazie al Dipartimento della Giustizia un’inchiesta segreta contro la
piattaforma anti-segreti. Non essendo pubblica, a nessuno è permesso sapere su
quali circostanze ha intenzione di vertere, quali accuse formula e quanto è
avanzata, o se già esiste una richiesta di estradizione, così come a nessuno è
dato sapere se la Gran Bretagna sia già pronta ad arrestare Assange per
spedirlo in America. Julian Assange si era già detto consapevole di questa
eventualità in un’intervista a Giugno. Inoltre, la polizia inglese avrebbe
anche altre modalità per motivare un ipotetico arresto, ovvero portando come
giustificazione il fatto che Assange abbia violato gli accordi riguardanti la
libertà su cauzione rifugiandosi nell’Ambasciata dell’Ecuador. Secondo la
testimonianza di Robert Booth, giornalista del Guardian oggi presente
all’esterno dell’ambasciata assieme ad altri sostenitori, un agente – lì
presente per sorvegliare l’edificio – avrebbe dichiarato: “Verrà arrestato, se
esce”.
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